- 02/12/2022
- Formazione, Lavoro, News
Il lavoro nel continuum culturale

Nell’antica Roma il lavoro era disprezzato dagli uomini liberi che reputavano altre attività più importanti, mentre era affidato soltanto agli schiavi. Le tracce di questo movimento di pensiero le ritroviamo in alcuni dialetti italiani nel termine “faticare”, ovvero sottoporsi a uno sforzo intenso e prolungato.
Con il medioevo si diffonde la servitù della gleba e allo stesso tempo cresce l’attenzione per l’artigianato e il commercio, con la nascita della società borghese il lavoro diventa la base della libertà individuale.
Tra il 600 e il 700, con lo sviluppo capitalistico, si afferma il lavoratore subordinato e questo modello va affermandosi sempre più con l’avvento dell’industrializzazione. Insieme alle fabbriche nasce una nuova cultura del lavoro retribuito, fedele strumento di autorealizzazione.
Nel nuovo millennio, con la globalizzazione si ha il libero accesso a una nuova pluralità di forme di lavoro, il quale diviene più flessibile, frammentato, ma (ahinoi) anche più precario. In questo contesto l’individuo non ha più come unico obiettivo quello di soddisfare i bisogni della società.
Nei principi fondamentali della nostra costituzione infatti, l’art. 4 cita: “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”
Più formazione, meno disoccupazione.
Quando parliamo di nuovo millennio indirettamente parliamo delle nuove generazioni e del loro apporto alla società. La crisi economica del 2008 prima e il Covid-19 poi, hanno messo in chiara difficoltà i più giovani, soprattutto in Italia.
Secondo un rapporto dell’Unione Europea l’Italia, infatti, è uno tra i quattro Paesi membri (insieme a Grecia, Spagna e Croazia) che ha registrato un tasso di disoccupazione giovanile superiore al 30%. Basti pensare che in Germania il tasso si riduce a solo il 7,1%. Al problema dell’occupazione poco stabile, si aggiunge anche quello della sottoccupazione, i giovani si trovano sempre più spesso a fare i conti sia con contratti precari che con orari di lavoro a tempo ridotto.
C’è da dire che il nuovo mercato digitale offre nuove opportunità di impiego: cyber security, developer, data scientist, digital marketer, copywriter sono solo alcune delle professioni che vanno via via affermandosi, senza però rimpiazzare del tutto i lavori tradizionali. Così come cresce il numero di professioni, cresce anche l’aumento delle competenze richieste dal mercato stesso.
La formazione diventa un punto cruciale e secondo i dati ISTAT dello scorso anno in Italia solo il 20,1% della popolazione tra i 25 e i 64 anni possiede una laurea contro il 32,8% nell’UE; mentre la quota di diplomati è pari al 62,9% (2020), valore decisamente inferiore a quello medio europeo (79%). La formazione, si sa, è il trampolino di lancio verso l’affermazione professionale e accanto alla formazione statale si pone quella dei privati, tra cui la Scuola di Alta Formazione e di Studi Specializzati per Professionisti (SafesPro) che consente di scegliere il percorso formativo più attinente alle proprie esigenze.